XII edizione
19-26 Settembre 2020
Di quale materia è composto un festival come Some Prefer Cake?
Di film lesbici e femministi proiettati sul grande schermo, sicuramente. Di eventi, incontri, dibattiti, presentazioni. Ma non solo.
Come per tutti i festival, e a maggior ragione per quelli che hanno il proprio senso primario nel ricreare, ogni anno, uno spazio/tempo comunitario, la materia principale di Some Prefer Cake è la comunità stessa, il campo di relazioni tra i corpi viventi e politici che, per 72 densissime ore, esistono insieme, nella prossimità, nel contatto, nello starsi, letteralmente, accanto. Guardando e ascoltando insieme, parlandosi a distanza ravvicinata, toccandosi, respirando la stessa aria. Come era possibile quindi per noi ricreare questa alchimia in un tempo in cui amarci ci rende necessario avere cura di mantenere una distanza? Ce lo siamo chieste e richieste, abbiamo ipotizzato tante soluzioni possibili, e alla fine, nell’incertezza di questo momento in cui la pandemia ancora ammala e uccide in tutto il mondo, abbiamo deciso di combinare il virtuale della grande comunità e il corporeo della piccola comunità. Quest’anno Some Prefer Cake si sposta in rete e nelle nostre case: i film saranno in streaming, su una piattaforma indipendente che considera la cultura terreno pienamente politico, gli eventi saranno on line, e l’esperienza, che ci ostiniamo a pensare collettiva, sarà invece in piccoli gruppi di prossimità. Gruppi lesbici di visione solidale, li abbiamo chiamati. Riuniamoci quindi, avendo cura di farlo con quelle con cui condividiamo già la nostra quotidianità, le nostre congiunte che, lo sappiamo e lo pratichiamo ogni giorno, non stanno dentro la logica eterosessista della famiglia.
Lo facciamo sempre, e a maggior ragione quest’anno, che non è solo l’anno del Covid-19 ma anche quello del Black Lives Matter, abbiamo cercato, nella programmazione necessariamente ridotta che vi proponiamo, di dare spazio anche a visioni non bianche e non occidentali. Dare spazio e non voce, perché la voce, le voci, esistono già. Bisogna solo ascoltarle. Vibrancy of silence: a discussion with my sisters, scelto da Silvia Radicioni e Lucia Tralli, è un documentario nato dal progetto di ricerca visiva di Frieda Ekotto “Vibrancy of Silence: Archiving the Images and Cultural Production of Sub-Saharan African Women”: la regista Marthe Djilo Kamga ci propone le conversazioni, intime e politiche, con altre quattro artiste africane che, come lei, hanno vissuto l’esilio, e che raccontano di sé e dei propri percorsi di produzione artistica e culturale. Della stessa regista, il corto Zurura Zurura, una videopoesia, come l’ha definita Teresa Sala che per Some Prefer Cake cura la selezione dei cortometraggi, che esprime uno sguardo consapevole e fiero sull’identità lesbica e africana. Ancora un linguaggio visuale poetico quello di Vitiligo di Soraya Milla, in cui donne nere affette da vitiligine parlano della percezione di sé a partire dalla propria pelle. Black Mamba della fotografa e regista tunisina Amel Guellaty racconta invece la storia di una ragazza che lotta, in un modo imprevisto, per autodeterminarsi fuori dalle aspettative sociali che prescrivono per le donne un percorso già scritto. Dalla Turchia il corto Anneler Günü – Mother’s Day di Merve Cagla Dincer, che affronta il tema della perdita e dell’incontro. E poi ancora: le relazioni e tutta la “fede” che ci vuole per viverle, nel corto d’animazione francese Et Chaque Nuit, girato da Julie Robert; l’effetto terapeutico di pratiche BDSM nel corto Velour dell’americana Miranda Manziano; il divertente Not Your Ordinary Sister, contro gli stereotipi di genere cinematografico queer, delle filmaker slovene Maša Zia Lenárdič & Anja Wutej; il diario adolescenziale di una ragazza che si scopre lesbica, nelle animazioni di Diario Blu(e), di Titta Cosetta Raccagni.
Dagli Stati Uniti Nice Chinese Girls Don’t della regista femminista Jennifer Abod, autrice di The passionate pursuits of Angela Bowen (documentario vincitore del nostro premio del pubblico nel 2018), racconta, attraverso la sua voce diretta e un bellissimo archivio fotografico, la storia dell’attivista, poeta e bodybuilder cino-statunitense Kitty Tsui, emigrata a San Francisco dalla Cina all’epoca della Guerra del Vietnam. Arriva invece dall’Argentina il lungometraggio narrativo Margen de error della regista Liliana Paolinelli, che abbiamo già conosciuto nel 2014 con i suoi film Lengua materna e Amar es bendito. Federica Fabbiani, nostra programmer della sezione fiction insieme a Nina Ferrante, ha scelto la sua commedia come unica fiction dell’edizione di quest’anno.
Proseguiamo infine il percorso sul tema della memoria lesbica con il documentario All we’ve got di Alexis Clements, un viaggio alla ricerca degli spazi fisici creati dalle lesbiche e dalle donne queer in diverse città degli Stati Uniti: bar, librerie, centri politici e culturali. Una visione emozionante per ragionare sugli spazi di cui abbiamo bisogno, su come difendere quelli esistenti e su come crearne di nuovi.
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