IX edizione

Quest’anno ci ha lasciato più di una grande del nostro movimento e delle nostre vite. Luki, Simonetta Spinelli, Diane Torr.
Ciò che le accomuna è l’invenzione del nostro mondo. Sono lesbiche e donne che hanno immaginato e creato la comunità che volevano e che prima di loro non c’era. E che le hanno dato visibilità. Come Jewel, con cui apriamo il festival, che nella sua caparbia dedizione alla creazione di spazi nostri mi ricorda tanto Luki. Come Chavela, che, quando ha rotto il codice dei ruoli della musica messicana e si è imposta per ciò che era, ha trovato il successo e raggiunto l’universale. Come Donna Haraway, che riscrive i confini e le possibilità del bisogno umano di narrazione. Luki, Simonetta e con loro naturalmente molte altre hanno fatto nascere il mondo che volevano e che noi oggi abitiamo. E la loro morte ci interroga su un’eredità, su una responsabilità, su di noi.

Oggi il panorama è diverso. Le rubriche di gossip ci parlano delle fidanzate di Kristen Stewart, la quale fa coming out al Saturday Night Live, la cui star degli ultimi anni è Kate McKinnon, comica out da sempre, che imita Ellen e Billie Jean King e ci fa ridere prendendo in giro le nostre icone non in un festival o su web ma in tv il sabato sera.
La lotta per la visibilità ha certamente portato risultati (non solo in tv!) e Luki era la prima a divertirsi e a godere di questo mutamento. Ma sempre con lucida memoria del percorso compiuto e di ciò che eccede quest’inclusione nel mainstream.
Noi oggi non dobbiamo provocare un big bang e questo forse ci può destabilizzare. Insieme al fatto che ora ci sentiamo più sole.
Ma il nostro compito non è banale: noi, uno stato di instabilità e di reazioni chimiche, dobbiamo continuare a crearlo, sempre e di nuovo, e sempre a modo nostro, tenendo vivi i nostri spazi, anche se ce ne vengono offerti nel mondo del mainstream.
Sta a noi ricordarci sempre la componente di rottura che il lesbismo ha insita in sé, la nostra rabbia, che per Simonetta era l’essenza della felicità, il fatto che la lesbica non è una donna (ce lo siamo dimenticato?), le possibilità fantascientifiche cyborg (oggi ci fanno anche le serie, partendo dal nostro immaginario, tanta è la potenzialità in esso insita) e continuare a raccontare e a diffondere le nostre storie seguendo la via suggerita da Haraway: capire «how to make the weak stories stronger and the strong stories weaker», come rendere le storie deboli più forti e le storie forti più deboli.
E infine, Luki, ci hai anche messe di fronte all’assurdo della vita e della morte, facendolo con una saggezza quasi irreale. Anche di questo, direi, facciamo tesoro.

Marta Bencich

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